Dal replicatore di Star Trek alla carne coltivata: il futuro è nel piatto?

L’umano, la mucca e il bioreattore: storia di un’alimentazione evoluta

In The Matrix (1999) vediamo Neo, Trinity e i membri dell’equipaggio di Morpheus all’interno della nave Nabucodonosor, seduti a tavola per la “colazione dei campioni”. Si tratta di una poltiglia proteica arricchita di amminoacidi, vitamine e minerali. Il tutto assomiglia all’odierno porridge, ma l’aspetto preannuncia un gusto francamente discutibile.

Facciamo un passo indietro di qualche anno ed entriamo nella USS Enterprise, una delle astronavi più famose del panorama fantascientifico, protagonista della serie ‘Star Trek: The Next Generation’, gemma degli anni ’80. Qui troviamo il famoso Replicatore che prometteva abbondanza illimitata di cibo, materializzando qualsiasi pietanza in un istante. Una visione, questa, che rifletteva un ottimismo tecnologico in cui la penuria di cibo era un ricordo del passato. Scarsità dalla quale, oggi, siamo ben distanti.

Qualche anno prima, nel 1973, usciva nelle sale cinematografiche ‘Soylent Green’ (in Italia “2022: I sopravvissuti”) un film ambientato in un futuro distopico *che, per tutti noi, è passato da ben tre anni. Siamo in una New York sovrappopolata e inquinata, dove le risorse naturali sono quasi esaurite e la maggior parte della popolazione sopravvive grazie a razioni di cibo fornite da un’azienda, la Soylent Corporation. Tra le razioni ci sono anche delle gallette sintetiche, considerate le più popolari, la cui composizione – che non svelo ma che vi lascio immaginare – esprime l’estremo degrado morale e sociale a cui la società, in un futuro segnato da un affollamento di individui e una grave carenza di risorse, è stata costretta.

Fortunatamente il 2022 è passato molto più sereno di quanto immaginato nel film. Questi scenari però, per quanto estremi, hanno avuto il merito di metterci di fronte a un problema che oggi è più reale che mai: come sfamare un’umanità che entro il 2050 conterà quasi 10 miliardi di persone?

La pressione ambientale e il benessere animale

Per millenni, l’essere umano ha basato la propria alimentazione sulla coltivazione e sull’allevamento. La Rivoluzione agricola (circa 10.000 anni fa) ha permesso alle popolazioni nomadi di stanziarsi e creare le prime comunità, sostenendo in questo modo la crescita demografica per secoli. Tuttavia, la Rivoluzione industriale e, più recentemente, l’agricoltura intensiva del XX secolo*, hanno pesantemente trasformato questo sistema. L’uso di fertilizzanti chimici, pesticidi e macchinari, ha aumentato la produttività per venire incontro alla crescente domanda di una popolazione mondiale in continua crescita. Il tutto a discapito della salute del suolo e degli ecosistemi. Oggi, questo approccio si scontra con limiti “invalicabili” a causa dell’attuale popolazione mondiale, che ha superato gli 8 miliardi. E continua a crescere.

La crisi climatica che stiamo affrontando non è un problema isolato, ma la conseguenza di un sistema globale che, per secoli, ha funzionato senza tenere conto delle sue implicazioni future. Il comparto agroalimentare è responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra e il suo impatto è il più alto tra i vari settori industriali di consumo del suolo, perché partecipa attivamente alla perdita di biodiversità e deforestazione. Inoltre, il settore agroalimentare è di gran lunga il più grande consumatore di acqua a livello globale, superando di molto tutti gli altri settori, con il 70% di acqua dolce utilizzata per l’irrigazione delle colture e l’allevamento del bestiame.

Si aggiunge a questi problemi la crescente attenzione dell’opinione pubblica sulle tematiche di benessere animale. I consumatori sono sempre più contrari all’allevamento e al consumo di prodotti di origine animale. Ne è prova la crescente adozione di diete vegetariane e vegane che prediligono il consumo di alimenti vegetali rispetto a quelli animali per ragioni etiche, spesso però senza la giusta consapevolezza in temi di alimentazione, nutrizione e salute. Tra le tante iniziative che fanno fronte alle problematiche ambientali e nascono per sostenere le necessità dei consumatori, la ricerca scientifica si è mossa in diverse direzioni per trovare le migliori soluzioni, sempre nell’ottica di un’alimentazione sostenibile, etica e sicura.

La soluzione sintetica

Pensiamo alla carne coltivata. Si preleva un campione di cellule staminali muscolari da un animale, queste vengono immerse in un terreno di coltura liquido e ricco di nutrienti (amminoacidi, zuccheri, vitamine, minerali) in un ambiente controllato e sterile, il bioreattore. Le cellule si moltiplicano in modo esponenziale, formando tessuto muscolare biologicamente identico a quello cellulare e molecolare del corrispettivo animale, conferendo comunque stesso sapore e consistenza.

Invece il latte sintetico è il risultato della fermentazione di precisione, una tecnologia completamente diversa. Viene utilizzato un gene che codifica per una proteina specifica del latte e viene inserito nel DNA di un microrganismo (come lieviti o funghi). I microrganismi geneticamente modificati sono infine posti in un fermentatore, un serbatoio simile a quelli usati per produrre la birra, e alimentati con zuccheri. Questi producono così la proteina poi purificata e isolata. Si ottengono così tutte le singole proteine del latte (caseine e sieroproteine), mescolate in una formula comprensiva delle altre componenti (grassi, zuccheri e minerali) per replicare la composizione nutrizionale e funzionale del latte vaccino.

La nascita di questi alimenti sintetici ha innescato un acceso dibattito etico e morale. Da un lato, i sostenitori vedono in queste tecnologie la chiave per risolvere problemi globali, dall’altro, i critici sollevano preoccupazioni sul concetto di “cibo artificiale” e sulla sua deviazione da un modello di alimentazione “naturale”. Inoltre, anche l’accettazione psicologica del consumatore è un ostacolo non indifferente, poiché l’idea di un alimento “creato in laboratorio” genera scetticismo e diffidenza in ampie fasce della popolazione.

Il dibattito sulla natura

Ma d’altro canto, cosa vuol dire naturale?

Aristotele distingueva tra ciò che esiste per natura come piante e animali, e ciò che esiste per arte, gli artefatti umani. Ogni cosa in natura ha un proprio fine intrinseco o uno scopo: una quercia ha il suo fine naturale nel diventare una quercia matura, e un animale ha il suo fine naturale nel vivere, secondo specie e funzioni.

La scienza non usa il termine “naturale” per esprimere un giudizio morale. Un chimico, ad esempio, direbbe che la vitamina C prodotta in laboratorio (acido ascorbico) è molecolarmente identica a quella che si trova in un’arancia, senza distinzioni di valore, poiché la composizione e l’essenza della molecola sono identiche.

E l’essere umano non fa parte della natura?

Sin dagli albori l’attività dell’uomo ha modificato l’ambiente circostante e le sue componenti. Il grano che attualmente coltiviamo ritenendolo “naturale” è in realtà il risultato di incroci tra specie selvatiche diverse, iniziato ben 10.000 anni fa e che prosegue tuttora alla costante ricerca di un miglioramento della resa, della resistenza ai patogeni e alle intemperie.

Non è quello di voler migliorare la propria condizione un comportamento naturale per l’essere umano?

Una fine senza conclusione

Ora torniamo per un attimo all’incipit e proviamo a guardare da una prospettiva diversa le scene di questi film. In un mondo distopico e apocalittico come quello di The Matrix, dove il cibo non esiste più, la poltiglia proteica è il risultato dell’adattamento dell’essere umano alla pressione ambientale della scarsità di cibo. In Star Trek la ricerca tecnologica ha risolto il problema della scarsità di cibo, rendendolo facilmente disponibile a chiunque in pochissimo tempo: un sogno! In Soylent Green vediamo invece il collasso dell’etica e della morale che conduce a una totale disumanizzazione e autodistruzione della società.

E a noi, cosa succederà?