- Elisa Rovesta
- Ottobre 18, 2025
- 11:00 am
La moda parla sottovoce. Sfila composta, si specchia nei salotti buoni e, qualche volta, chiede il permesso. Poi arriva un bagliore e non è più possibile richiudere gli occhi: Elio Fiorucci.
È un nome e un marchio “Fiorucci”. Una parola che ricorda una caramella alla frutta, un bacio con il rossetto sbavato, un colpo di fulmine tra Milano e Manhattan. Elio vende vestiti, certo. Ma, in più, accende micce di creatività.
Nei suoi negozi non si entra, nossignori: ci si precipita. Come in una festa scoppiata in anticipo, con le luci al neon che ballano sulle facce, gli angeli disegnati sopra ai jeans e la musica che si infila ovunque, persino nei camerini. Nessuno è cliente, nessuno è spettatore. Tutti sono parte di un rito pop che scompiglia regole e pettinature.
A Milano, in San Babila, il suo store diventa un punto di ritrovo internazionale: non solo moda, ma un laboratorio di immaginazione e originalità. Lì arrivano i giovani da tutta Europa, attirati dalle vetrine che non espongono soltanto abiti ma contaminazioni artistiche. È una porta che si apre a un linguaggio nuovo, raffinato e semplice insieme.
Nel 1976, a New York, Fiorucci apre un’altra porta e nel suo corner entra la strada. Un locale che sembra un club, un negozio che sembra un film. Ogni giorno, tra uno scaffale e una parete disegnata da Keith Haring, si incontrano linguaggi, corpi, voglie. Non ci sono sezioni donna/uomo, non ci sono saldi o stagioni. Ci sono storie, e ognuno ci mette la sua. Lì si celebra la giovinezza come un atto d’amore, la libertà come un abito che non ha taglia.
A pochi isolati c’è la Factory di Andy Warhol: avanguardia, pop-art, irriverenza sofisticata. Il corner di Fiorucci suona come un disco in vinile graffiato dalle dita dell’arte. Jean-Michel Basquiat passa, lasciandosi attraversare dai colori. Haring disegna sui muri come se fossero pelle. E intanto, sulla Fifth Avenue, la moda si fa murales, breakdance, jeans strappati, occhiali rosa.
Fiorucci libera lo stile, lo lascia correre in giro, per le strade, sui marciapiedi, nei club. La sua visione porta con sé il sapore della pop culture, della metropolitana, della notte. Collabora con chi è già futuro: artisti, designer, outsider, spiriti urbani.
La moda diventa il linguaggio di un corpo che si dichiara. Arte che si può toccare, guardare e ricordare.
E chi ha avuto la fortuna di vedere la potenza evocativa dei suoi store lo sa: Fiorucci è una crepa luminosa nel muro della consuetudine. Segna un’epoca che danza sotto le insegne al neon, con gli occhi spalancati e i jeans stretti, dentro la certezza che la bellezza non deve chiedere permesso. Bisogna solo lasciarla entrare.